Hai presente quella sensazione quando leggi “nuovo gioco di Kojima” e pensi: boh, non ho capito niente del trailer… ma lo voglio?
Ecco. Non succede per caso. Perché Hideo Kojima non è solo un game designer. È un personaggio. Un’icona. Un marchio vivente.
Ed è proprio questo il suo segreto più potente. Quello che ogni developer indie (e non solo) dovrebbe studiarsi bene.
Kojima non crea solo giochi: crea sé stesso
Pensaci un attimo.
Nel mondo dei videogiochi tripla A, quanti sviluppatori riconosci al volo? Quanti sanno metterci la faccia? Quanti diventano il volto stesso di ciò che creano?
Spoiler: pochissimi.
E mentre la maggior parte si nasconde dietro a trailer patinati e portavoce in giacca e cravatta, Kojima posta poster svedesi anni ‘60, occhiali da sole e teorie strane sul cinema francese.
E noi lì, ad aspettare la prossima cutscene da 40 minuti come se fosse un evento live.
L’approccio Kojima: roba da rubare (senza vergogna)
Ora, diciamolo: Hideo Kojima è un caso a parte. Unico, probabilmente irripetibile. Ma il suo “segreto”? Quello sì che si può rubare.
Perché non parliamo di budget, attori hollywoodiani o supporto di colossi.
Parliamo di una cosa che puoi fare anche tu: raccontare chi sei, non solo cosa fai.
Nel 99% dei giochi mainstream, non sai nulla di chi c’è dietro.
Facce neutre, comunicati scritti col bilancino, e presentazioni “corporate” dove nessuno dice davvero qualcosa.
Kojima invece è cinema, caos, passione.
Ti piace o no, sai cosa aspettarti da lui. E questa è una forza enorme.
Personal branding nei videogiochi: funziona davvero?
Sì, e ti basta guardare fuori dal mainstream per capirlo.
Prendi Toby Fox. Se hai giocato Undertale, sai chi è. Magari non l’hai mai visto in volto, ma lo “senti” in ogni scelta narrativa.
Oppure Sam Barlow (Her Story, Immortality) o ZUN, il creatore di Touhou Project. Non servono conferenze stampa o trailer in 4K per essere riconoscibili. Serve coerenza.
Una voce. Una visione. Una presenza, anche piccola, ma autentica.
Non ti serve diventare una rockstar. Ti serve essere vero.
Un devlog fatto bene, un post sincero, un tweet che suona umano — tutto questo costruisce fiducia. E la fiducia, nel mondo indie, può fare la differenza tra un click e il nulla.
Ma occhio: non basta urlare “guardami!”
Eh no, non funziona se è finto.
Se fai il personaggione solo per attirare attenzione e poi ti metti a sbroccare su Twitter perché uno ha criticato il tuo gioco… non sei Kojima.
Stai solo facendo casino.
Kojima non insulta, non fa flame, non cerca lo scontro.
Fa il misterioso, ogni tanto. Scompare, poi torna con qualcosa che ti fa dire “ma che diamine sto guardando?”.
E funziona. Perché c’è coerenza. C’è un’identità forte. E ogni suo gioco, anche prima di uscire, è già riconoscibile come “un Kojima”.
E tu, sei il volto del tuo gioco?
A questo punto, magari ti stai chiedendo: “Ok, ma io faccio un platform 2D con 3 sprite… che c’entro io con Kojima?”
C’entri eccome.
Non devi copiarlo. Devi capire il principio.
Metti fuori la testa. Raccontati. Fallo a modo tuo, nei tuoi tempi, con il tuo tono.
Perché se non lo fai tu… be’, nessuno lo farà al posto tuo.
E il rischio è quello di avere un buon gioco, ma invisibile.
Il punto è semplice:
Kojima non è un modello. È un promemoria.
Ogni videogioco — anche il tuo — ha dietro una persona. Se quella persona ha qualcosa da dire… beh, il pubblico lo sente.
E tu? Hai mai pensato di diventare il volto del tuo gioco?
Fammelo sapere nei commenti o su Instagram