Ti suona familiare? “I videogiochi costano troppo da produrre.”
“I prezzi devono salire, altrimenti il settore non regge.”
“O paghi 90 euro o non ci saranno più giochi di qualità.”
E intanto, gli sviluppatori perdono il lavoro. I prezzi schizzano alle stelle. Le promesse si moltiplicano. Ma i conti, quelli veri, non tornano mai. O forse tornano fin troppo bene, ma nelle tasche sbagliate.
Spoiler: l’industria non è in crisi. O meglio, lo è — ma non per colpa tua.
Il paradosso del 2024: il peggiore e il più ricco

Il 2024 passerà alla storia come uno degli anni più spietati per chi lavora nei videogiochi. Oltre 17.800 licenziamenti, team storici smembrati, progetti cancellati e studi chiusi con un tweet.
Ma nel frattempo? Boom economico. Il settore ha generato quasi 200 miliardi di dollari di fatturato globale. Sì, proprio nell’anno in cui ci raccontavano che “non si poteva più andare avanti così”.
Da un lato i licenziamenti. Dall’altro, l’anno più profittevole della storia dei videogiochi. Vedi l’assurdità?
Soldi a pioggia, ma non per chi crea
A lanciare il sassolino è stato anche il direttore dell’IGDA, l’associazione internazionale degli sviluppatori, con una domanda tanto semplice quanto scomoda: se il mercato va a gonfie vele, perché si continua a tagliare personale?
La risposta è brutale: gli utili non vanno a chi lavora, ma a chi comanda. Dirigenti, azionisti, board esecutivi. Mentre il marketing ti vende “lacrime e sangue”, loro si alzano lo stipendio.
Il dramma non è il crollo del mercato. È la sua disuguaglianza.
Il teatrino dell’autogiustificazione
E qui arriva il colpo basso: molti giornalisti e content creator — spesso quelli più seguiti — hanno iniziato a difendere questa logica.
Frasi tipo:
“100 euro per GTA VI ci stanno, è un gioco enorme.”
“90 euro per Mario Kart World è il nuovo standard, facciamocene una ragione.”
“Dobbiamo supportare l’industria, anche se costa.”
Ma davvero? Supportarla come? Pagando di più mentre chi la costruisce viene cacciato? Accettando ogni rincaro come fosse una tassa sacra per il nostro hobby?
No. Questo non è supporto. È accettazione passiva di un sistema che mette il profitto sopra ogni cosa, anche sopra le persone che creano i giochi che amiamo.
Esistono alternative. Ma devi cercarle
Non tutto il mercato gira intorno ai tripla A da 100 milioni di dollari. C’è un intero universo di giochi — a volte capolavori — sviluppati da team piccoli, indipendenti o “mid-budget”, venduti a prezzi onesti.
Titoli pensati con cura, costruiti per durare, capaci di sorprenderti anche senza open world infiniti o cinematiche in 4K HDR.
E spesso, questi giochi costano la metà, se non un terzo, dei “grandi nomi”.
Sono progetti che vivono grazie al passaparola, non alle campagne da 50 milioni. E sì, anche loro fanno parte dell’industria. Anzi, spesso ne sono il cuore più vivo.
Il potere ce l’hai tu. Sul serio
Il punto è uno: ogni euro che spendi è una scelta. Ogni acquisto, un segnale.
Non ti serve una petizione per cambiare il mercato. Ti basta comprare diversamente.
Quando premi giochi che ti rispettano, stai premiando anche chi li ha realizzati.
Quando scegli prodotti onesti, stai dicendo al settore: “voglio più roba così”.
Quando smetti di giustificare i rincari, costringi i publisher a farsi qualche domanda in più.
Non serve boicottare. Serve decidere
Non stiamo dicendo di smettere di comprare i giochi che ti piacciono. Ma prima di cliccare su “pre-ordina” a 90 euro, chiediti:
- Ne vale davvero la pena?
- I soldi che sto spendendo andranno davvero a chi ha fatto il gioco?
- Esiste qualcosa di più interessante, magari meno pompato ma più autentico?
Perché sostenere l’industria non significa pagarla a qualsiasi prezzo.
Significa aiutarla a crescere nella direzione giusta.
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