Chi c’era nel 1990 se lo ricorda. Un floppy, un titolo strano, una grafica colorata e un protagonista che voleva diventare un temibile pirata. Il resto è storia. The Secret of Monkey Island non era solo un videogioco, era una dichiarazione di intenti: l’avventura grafica poteva essere brillante, ironica e soprattutto non doveva farti impazzire con morti istantanee e vicoli ciechi.
Un’epoca d’oro per Lucasfilm Games
Siamo alla fine degli anni ’80. Lucasfilm Games aveva già fatto parlare di sé con Maniac Mansion e Zak McKracken, ma qui Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman decisero di alzare l’asticella. Il motore SCUMM era alla sua quinta incarnazione, più snello e intuitivo, pronto a dare vita a un mondo di pirati che sembrava uscito da un parco a tema Disney. E in effetti, l’ispirazione arrivava anche da lì: Pirates of the Caribbean, in versione “LucasArts style”.
Caraibi, humor e duelli di insulti

La storia è semplice quanto irresistibile: Guybrush Threepwood vuole diventare un pirata, e per farlo deve superare tre prove assurde. Combattimenti all’arma bianca? Sì, ma con offese da manuale: “Combatti come una mucca” è diventato un tormentone che ancora oggi strappa un sorriso ai fan. L’isola di Melee è un concentrato di personaggi eccentrici, enigmi surreali e dialoghi indimenticabili, tutti condititi da un umorismo che non ha bisogno di volgarità per funzionare.
Niente game over, solo risate
All’epoca era quasi un sacrilegio: in Monkey Island non si moriva. Niente frustrazione da caricamento continuo, niente vicoli ciechi irreversibili. Ron Gilbert voleva che il giocatore si divertisse, non che passasse ore a ripetere gli stessi passaggi. Certo, c’erano eccezioni scherzose, come il famoso tuffo prolungato sott’acqua, ma erano più gag che vere punizioni.
La colonna sonora di Michael Land non era un semplice sottofondo, era parte integrante dell’esperienza. Il tema principale, un mix di reggae e melodia piratesca, è rimasto nel cuore di chiunque abbia acceso il gioco almeno una volta. Su MIDI, nel 1990, suonava già inconfondibile. Nelle versioni CD-ROM e nella Special Edition del 2009 ha trovato nuova vita con arrangiamenti orchestrali e doppiaggio completo.
Versioni, porting e riedizioni
La prima uscita arrivò su Amiga, Atari ST e MS–DOS in EGA a 16 colori, seguita quasi subito dalla versione VGA a 256 colori. Poi toccò a FM Towns, Sega CD e Macintosh. Nel 2009, The Secret of Monkey Island: Special Edition portò il gioco a una nuova generazione, con grafica HD, doppiaggio integrale e la possibilità di passare in tempo reale dalla versione originale a quella aggiornata.
Da questo primo capitolo nacque una saga che ha attraversato decenni e cambi di tecnologia: Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, The Curse of Monkey Island, Escape from Monkey Island, Tales of Monkey Island e il recente Return to Monkey Island. Tutti diversi, tutti con un pezzo di quell’anima originale. E non si tratta solo di avventure grafiche: l’approccio di Monkey Island all’umorismo e alla scrittura ha influenzato decine di giochi, dai più piccoli indie fino ai blockbuster.
Perché giocarci oggi
La Special Edition è ancora disponibile su PC e console moderne, e resta uno dei modi migliori per riscoprire questo capolavoro. Puoi goderti la grafica rinnovata o rivivere i pixel originali con un click. Gli enigmi sono ancora geniali, i dialoghi freschi, le battute senza tempo. E se lo giochi in inglese, ti godi anche tutta la brillantezza del testo originale.
La lezione di Monkey Island
Più di trent’anni dopo, The Secret of Monkey Island resta la prova che un videogioco può essere intelligente, divertente e memorabile senza puntare su effetti speciali o grafica ultra-realistica. Bastano un buon motore narrativo, personaggi carismatici e il coraggio di non prendersi troppo sul serio.
E poi, diciamolo: chi non vorrebbe essere un temibile pirata?
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