Il UK Online Safety Act è diventato in pochi mesi uno dei temi più discussi del web. Presentato come una legge nata per proteggere i minori e rendere Internet più sicuro, si è trasformato in un caso politico e culturale internazionale. Non tanto per i contenuti del provvedimento, ma per il modo in cui è stato percepito e raccontato al di fuori del Regno Unito.
Negli Stati Uniti, in particolare, la reazione è stata feroce. Politici, influencer e creator hanno parlato di censura, sorveglianza di massa e rischio dittatura digitale. Titoli apocalittici hanno invaso i feed, video su YouTube hanno macinato visualizzazioni con toni da emergenza globale.
Ma la verità è più complicata. E, soprattutto, piena di contraddizioni.
Che cos’è l’Online Safety Act

La legge approvata dal Parlamento britannico affida all’Ofcom, l’authority delle comunicazioni, poteri senza precedenti. Le piattaforme online devono:
- rimuovere rapidamente contenuti illegali o dannosi,
- introdurre verifiche dell’età per accedere a siti e contenuti “adulti”,
- cooperare con le autorità per scansionare messaggi e file alla ricerca di materiale criminale,
- affrontare rischi come bullismo, autolesionismo o disinformazione.
Chi non si adegua rischia multe gigantesche: fino al 10% del fatturato globale. In pratica, colossi come YouTube, Meta, X o TikTok non possono ignorarla.
L’indignazione americana
Negli USA la legge è stata accolta da un coro di critiche. Repubblicani come Jim Jordan hanno parlato apertamente di attacco alla libertà di espressione. YouTuber e commentatori hanno fatto video indignati, raccontando il provvedimento come un segnale dell’arrivo di una “censura globale”.
Le preoccupazioni principali ruotano attorno a tre punti:
- Libertà di parola: i termini “contenuti dannosi” sono vaghi e potrebbero essere usati per oscurare opinioni politiche scomode.
- Privacy: la possibilità di scansionare comunicazioni criptate viene vista come una minaccia all’intera architettura della sicurezza digitale.
- Sovranità: perché un cittadino americano dovrebbe subire gli effetti di una legge britannica?
Il paradosso è che queste reazioni spesso arrivano da persone che non hanno mai messo piede in Europa e che dimostrano di conoscere poco o nulla del contesto legislativo britannico.
I limiti della legge (e le critiche interne)
Non è un segreto: il provvedimento è pieno di falle. Associazioni britanniche per i diritti digitali hanno denunciato il rischio di censura eccessiva. L’idea di dover presentare un documento d’identità per navigare su certi siti solleva enormi problemi di privacy.
C’è anche la questione della vaghezza: cosa significa esattamente “contenuti dannosi”? Chi decide il confine tra satira, critica politica e incitamento all’odio?
Sono dubbi legittimi, sollevati da chi in UK vive e subisce direttamente gli effetti della legge. Ma queste voci sono state sommerse dal rumore globale, amplificato soprattutto dagli Stati Uniti.
Il doppio standard americano
Qui arriva il punto più interessante. Chi oggi grida al pericolo di “censura straniera” dimentica che gli Stati Uniti esportano regole digitali da decenni.
- Il DMCA (Digital Millennium Copyright Act) è del 1998. Permette a un’azienda americana di far rimuovere contenuti ovunque nel mondo, anche in Paesi con leggi diverse.
- Le sanzioni USA si applicano a livello globale: se Washington decide che un Paese è nella lista nera, PayPal o Patreon devono bloccare gli account, anche se quegli utenti non hanno violato alcuna legge locale.
- I giganti del web – da YouTube a Facebook – nascono e vivono sotto la giurisdizione americana. Le regole con cui moderano i contenuti riflettono i valori e le priorità degli Stati Uniti, non quelle europee o asiatiche.
Insomma, l’Internet che conosciamo è americano per default. Per anni nessuno negli USA ha trovato strano che miliardi di persone nel mondo dovessero adattarsi a standard scritti a Washington o in California. Ma quando il Regno Unito prova a imporre le proprie regole, ecco che scatta il panico.
Privacy e verifiche: non è la prima volta
Altro dettaglio ignorato dai più: molti degli strumenti previsti dal Regno Unito esistono già negli USA.
- Il gioco d’azzardo online, dove è legale, richiede KYC (know your customer), con scansione di documenti e verifica dell’identità.
- Per acquistare alcolici o tabacco online servono controlli simili.
- Il trading di criptovalute è regolato con procedure di verifica stringenti.
Negli Stati Uniti questi meccanismi vengono accettati come parte del sistema. Ma se li propone l’UK diventano segno di un futuro distopico.
La frattura tra USA ed Europa
L’Online Safety Act non è un caso isolato. L’Unione Europea ha già approvato il Digital Services Act e il Digital Markets Act, che impongono obblighi alle piattaforme su moderazione, pubblicità e trasparenza. In Australia, la campagna di Collective Shout ha spinto alla rimozione di contenuti sessuali da alcuni videogiochi.
Tutto questo viene percepito negli Stati Uniti come un attacco al loro dominio culturale e tecnologico. La parola d’ordine è “resistere alla censura straniera”, ma il sottotesto è: “non accettiamo che qualcun altro scriva le regole del gioco”.
Si tratta di una forma di nazionalismo digitale, che ha trovato terreno fertile nel clima politico americano. Da Elon Musk che minaccia di lasciare l’Europa se le regole non gli piacciono, ai commentatori che bollano ogni legge europea come “orwelliana”, il messaggio è chiaro: le uniche regole valide online devono essere quelle made in USA.
Gaming e cultura: quando la censura diventa terreno di scontro
Il discorso tocca anche il mondo videoludico. L’esempio più evidente arriva dall’Australia, dove Collective Shout ha fatto pressione per vietare o modificare giochi con contenuti sessuali espliciti. Un precedente che mostra come la battaglia culturale passi anche attraverso i videogame.
Molti influencer americani usano questi casi per alimentare la narrativa della “dittatura europea”. Ma dimenticano che negli stessi Stati Uniti la censura videoludica non è una novità: basti pensare al ruolo dell’ESRB o ai casi di giochi mai pubblicati senza modifiche.
Critiche valide, ma discorso distorto
Tutto questo non significa che la legge britannica sia innocua. Anzi. Ci sono timori reali sul fatto che possa soffocare la libertà di espressione o aprire varchi pericolosi nella protezione della privacy.
Il problema è che queste discussioni vengono distorte da chi cerca solo lo scontro culturale. Molti YouTuber e commentatori americani hanno parlato dell’Online Safety Act con sicurezza totale, ma dimostrando ignoranza del contesto. Alcuni hanno persino confuso Regno Unito ed Unione Europea, criticando “Bruxelles” per una legge votata a Londra.
Il risultato è un dibattito tossico, dove l’analisi cede il posto al clickbait e la disinformazione prende il sopravvento.
Il punto vero: chi scrive le regole di Internet?
Alla fine, la domanda è questa: chi ha il diritto di scrivere le regole di Internet?
Finora sono stati gli Stati Uniti. Con le loro leggi, i loro tribunali, le loro aziende. Ora il Regno Unito prova a imporre standard propri e questo manda in tilt l’equilibrio.
Il problema non è la censura in sé, ma la perdita di controllo. Per la prima volta gli USA si trovano davanti a un Internet dove non tutto è deciso da loro. E la reazione dimostra quanto questa prospettiva sia percepita come minacciosa.
Il UK Online Safety Act è una legge imperfetta, piena di rischi e contraddizioni. Ma la rabbia americana racconta qualcosa di più profondo: la difficoltà di accettare che il web non sia più uno spazio governato unicamente da valori, leggi e interessi statunitensi.
Il futuro sarà fatto di più attori, più regole e più conflitti. E il gaming, come sempre, sarà uno dei campi di battaglia culturali.
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