Kanto, 1999. Il Game Boy in tasca, la cartuccia rossa o blu a seconda della fazione, e un mondo intero da esplorare senza internet, senza tutorial, senza salvataggi automatici. Non avevi idea di cosa aspettarti oltre il prossimo percorso. Ogni grotta, ogni zona d’erba alta, ogni NPC silenzioso poteva essere l’inizio di un mistero. E oggi, nel 2025, anche con i giochi sempre più vasti e spettacolari… quella magia non è mai tornata davvero.
Ma quindi cos’è che ci manca davvero dei primi Pokémon?
Il mistero. Quello vero

Pokémon Rosso, Blu (e in Giappone anche Verde) non ti spiegavano niente. Partivi con un mostriciattolo, due Poké Ball e via. Nessun indicatore di missione, nessuna freccia lampeggiante, nessun professore che ti chiama ogni cinque minuti. Dovevi arrangiarti, parlare con la gente, esplorare. Ogni passo era una scoperta. O un errore.
E poi c’erano i segreti. Mew nascosto sotto un camion, MissingNo. che ti faceva spuntare 999 Rare Candy, voci su Pikablu e su modi folli per ottenere Pokémon leggendari. Era tutto inventato? A volte sì. Ma era questo il bello: ci credevi. Perché non c’era modo di verificarlo. E nel dubbio, provavi.
Oggi, il giorno prima dell’uscita di un gioco, sappiamo già tutto: leak, trailer, datamine, walkthrough. Il mistero è morto in tempo reale.
La difficoltà sincera
Ricordi il tuo primo scontro con Brock? O quando Surge ti asfaltava con Raichu? La Lega Pokémon ti faceva sudare, non perdonava. I Pokémon salivano di livello uno a uno, niente Condividi Exp globale. Se volevi un Gengar o un Alakazam, dovevi scambiarlo davvero con un amico. Non c’era shortcut. E se avevi un solo Pokémon di livello 70 e gli altri tutti al 20… buona fortuna.
Il rivale, Blu, non era lì per farti da coach. Ti insultava, ti superava, ti umiliava. Era fastidioso, arrogante. E quando lo battevi alla fine, ti sentivi il Campione, sul serio.
Oggi i rivali sono “compagni di viaggio”, ti tifano contro, ti aspettano se sei in difficoltà. I Capipalestra? Sorridono, ti danno una T-shirt e una posa per il selfie. E se sbagli squadra, tanto il gioco ti avverte prima del match. Ti chiede pure se vuoi cambiare Pokémon.
Non è nostalgia. È una perdita di tensione.
Un mondo da esplorare, non da seguire
La mappa di Kanto non era open world, ma sembrava. Grotta Celeste? Nessuno ti diceva che esisteva. Zona Safari? Dovevi pagarla e capire come funzionava. Silph S.p.A.? Un labirinto con teletrasporti, senza pietà.
C’era un ordine delle Palestre, ma non era scolpito nel codice. Alcune città potevi raggiungerle in modi alternativi. Tornavi indietro quando imparavi Surf o Spaccaroccia, scoprivi che un luogo già visitato nascondeva un passaggio segreto.
Oggi hai l’open world, sì. Ma anche indicatori ovunque, livelli calibrati, missioni secondarie tutte uguali, e nessun bisogno reale di tornare sui tuoi passi. La libertà vera non è solo “puoi andare dove vuoi”, ma “non ti diciamo dove andare”.
Il gioco ti prendeva sul serio
In Rosso/Blu eri tu a fermare il Team Rocket. Nessuno lo faceva al posto tuo. Nessuno ti diceva “lascia fare agli adulti”. Anzi, eri tu quello che sconfiggeva Giovanni e smantellava l’organizzazione. Senza animazioni in 3D, senza cutscene da 5 minuti. Solo testo, musica e scelte.
In Spada e Scudo, invece, è Dandel – il Campione – a dire al giocatore che certe cose “le gestiranno gli adulti”. Tu pensavi di essere l’eroe, e invece sei lì per fare il tutorial del Dynamax e andare allo stadio.
Il problema non è la storia. È che oggi il protagonista è più spettatore che motore della narrazione. E nei Pokémon, questo stona.
I Pokémon erano più… Pokémon
I design della prima generazione erano semplici, essenziali, riconoscibili. Oggi sono quasi 1000, e sì: ci sono ancora creature bellissime. Ma l’impatto dei primi 151 non si ripeterà mai. Erano iconici. Anche quelli brutti, tipo Muk o Jynx. Te li ricordavi tutti. Oggi? Buona fortuna a distinguere tra un Cetitan e un Baxcalibur al volo.
E poi c’era lo stile visivo. La sprite art, i ruggiti sintetici, le pose da battaglia. Charizard sembrava urlarti in faccia. Gengar aveva uno sguardo che non dimentichi. Ora i modelli 3D sono più dettagliati, certo, ma meno espressivi. Stanno fermi, fanno due frame di animazione e fine. Il risultato? Sembrano vivi solo in teoria.
E la musica? Prova a riascoltare il tema di Lavandonia o quello del Campione. Ti si stampa in testa. I nuovi hanno belle soundtrack, ma meno memorabili. Troppa orchestrazione, poca identità.
La componente sociale era reale, fisica
Il cavo link non era un optional. Era la vita. Se volevi un Machamp o un Golem, dovevi scambiarlo davvero. Dovevi conoscere qualcuno con la versione opposta alla tua. E se eri l’unico con Pokémon Giallo in classe? Eri un VIP.
La Pokémon mania era una febbre vera. Figurine, cartoni, voci di corridoio, bug, sfide al parco, scambi durante la ricreazione. Non c’era cloud save, non c’erano patch. C’era la tua cartuccia. E se la cancellavi per sbaglio, ricominciavi da capo. E non ti lamentavi.
Ok, ma oggi è meglio, no?
Tecnicamente, sì. Più Pokémon, più qualità della vita, più accessibilità. Open world, multiplayer, teracristalli, raid, DLC. Ma qualcosa si è perso. Il senso di scoperta. Il bisogno di parlare con altri giocatori. Il brivido di non sapere cosa ti aspetta nella prossima grotta.
Non è che Pokémon oggi sia “peggio”. È che è diventato un’altra cosa. E chi è cresciuto con Rosso e Blu lo sa.
I fan lo dicono chiaro
I forum e i social sono pieni di richieste che tornano ciclicamente:
- modalità difficile opzionale
- dungeon veri, con enigmi e percorsi segreti
- meno cutscene, più libertà
- ritorno alla pixel art o a uno stile più personale
- un remake fatto bene della prima generazione, magari in stile Leggende
La buona notizia? Game Freak ascolta. A volte. Con Leggende Arceus e Scarlatto/Violetto abbiamo visto passi avanti sul fronte dell’esplorazione e della libertà. Ma sul piano del carisma, della sfida e dell’identità… siamo ancora lontani da quei pomeriggi con il Game Boy in mano.
Conclusione? Ci manca l’anima. Non i poligoni.
I Pokémon sono cambiati perché anche noi siamo cambiati. Ma certi ingredienti non invecchiano mai. E se Game Freak vuole davvero riportarci a Kanto un giorno, dovrà fare di più che piazzare un Pikachu in 4K.
Dovrà ricordarsi di com’eravamo quando abbiamo giocato la prima volta. E di cosa abbiamo perso crescendo.
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