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Lettura: Un ex programmatore di Final Fantasy odia i “finti bug” PlayStation degli indie moderni: “Non capisco cosa ci sia di interessante”
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Un ex programmatore di Final Fantasy odia i “finti bug” PlayStation degli indie moderni: “Non capisco cosa ci sia di interessante”

Koji Sugimoto, veterano di Final Fantasy, critica la moda indie di ricreare i glitch grafici PS1. Difetto affascinante o ossessione inutile?

7 ore fa
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Nell’era del ray tracing, del 4K e delle ombre in tempo reale, c’è ancora un nutrito gruppo di sviluppatori indie che vuole far sembrare i propri giochi… vecchi. Non solo con la pixel art, ma addirittura con difetti grafici che negli anni ’90 erano visti come problemi da risolvere. Uno su tutti: il texture warping della prima PlayStation, quella strana deformazione delle superfici 3D che faceva “ballare” le texture quando le guardavi da certe angolazioni.

Contenuti in questo articolo
La scintilla: un tweet di Unity JapanCos’è il texture warping e perché esistevaDalla lotta all’omaggioLe due filosofie a confrontoL’impatto sul game design modernoEsempi di revival tecnicoModa passeggera o linguaggio definitivo?La verità sta in mezzo

E a Koji Sugimoto, uno che di PlayStation ne ha spremute per davvero, questa moda proprio non va giù. Stiamo parlando di un veterano che ha lavorato su Chrono Trigger, Xenogears e Final Fantasy X. Uno che ai tempi faceva i salti mortali per evitare proprio quei difetti. E che oggi, vedendoli ricreare di proposito, si chiede: “Ma che senso ha?”.

La scintilla: un tweet di Unity Japan

final fantasy vi

Il 5 agosto 2025, Unity Japan pubblica un post su un nuovo tool pensato per semplificare la vita agli sviluppatori che vogliono ricreare il look della PS1, incluso il texture warping. Sugimoto legge, ci pensa un attimo e risponde senza giri di parole: “Ai tempi facevamo sforzi inutili e dolorosi per evitarlo, e oggi lo chiamano ‘affascinante’?”
Non era la prima volta che lo diceva. Già nel 2019, commentando la stessa tendenza, aveva usato un termine ancora più forte: “detestabile”. E non per vezzo retorico: per lui era una questione personale. Ore e ore di lavoro andate in fumo, compromessi tecnici, notti passate a limare problemi che oggi vengono esibiti come “chicche” nostalgiche.

Cos’è il texture warping e perché esisteva

Il texture warping non è un filtro estetico inventato dagli indie: era un limite tecnico della prima PlayStation. La console non disponeva di un’unità di trasformazione prospettica a 3 coordinate (non aveva un vero hardware per il perspective correct texture mapping), ma utilizzava la mappatura affine. In parole povere, “incollava” le texture sui poligoni senza tenere conto della prospettiva in modo accurato.

Risultato: se guardavi un pavimento o una parete da una certa angolazione, l’immagine sembrava stirarsi, deformarsi o tremare. Più il poligono era grande e inclinato, più l’effetto era evidente.
Gli sviluppatori dell’epoca, come Sugimoto, cercavano di limitarlo tagliando le superfici in tanti poligoni più piccoli, o riposizionando elementi della scena per minimizzare il problema. Ma era un lavoro lungo, a volte inutile, e soprattutto invisibile al giocatore medio.

Dalla lotta all’omaggio

final fantasy vii

Oggi il texture warping è diventato un segno distintivo di certi giochi retro-inspired. Basta guardare progetti come Paratopic, Signalis o la miriade di horror lo-fi pubblicati su itch.io. In questi titoli, il warping è ricreato artificialmente per evocare le sensazioni dei giochi PS1, anche se i dev lavorano con hardware e motori grafici che potrebbero produrre un 3D perfetto. È un po’ come mettere un filtro “pellicola graffiata” su un video 4K appena girato.

Per chi li crea e li ama, si tratta di un linguaggio visivo specifico, capace di trasmettere un’atmosfera unica. Per chi, come Sugimoto, ha passato anni a combatterlo, è come veder tornare di moda le zanzariere rotte dopo aver passato un’estate intera a ripararle.

Le due filosofie a confronto

Da una parte ci sono i “puristi” della tecnologia: ogni passo avanti è un miglioramento, e non ha senso ricreare limiti superati. Sugimoto è chiaramente in questo campo. Per lui, usare il warping oggi è un atto privo di logica, quasi irrispettoso nei confronti del lavoro svolto in passato per evitarlo.

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Dall’altra parte ci sono i creativi che vedono in quei limiti un potenziale estetico. Non si tratta di nostalgia cieca, ma di consapevolezza: un difetto può diventare un tratto distintivo, un marchio di fabbrica che comunica qualcosa. Qui entra in gioco una citazione di Brian Eno:
“Qualunque cosa tu trovi strana, brutta, scomoda o fastidiosa in un nuovo medium diventerà sicuramente la sua firma. La distorsione dei CD, il tremolio del video digitale, il suono scadente dell’8-bit: tutte cose che verranno amate ed emulate non appena sarà possibile evitarle.”

Per Eno, quindi, i limiti sono parte della storia di un medium. E quando la tecnologia li supera, possono rinascere come scelte stilistiche.

L’impatto sul game design moderno

Nel mondo indie, il texture warping è spesso associato a un’intera serie di scelte di design: modelli 3D a basso numero di poligoni, palette di colori limitata, interfacce spartane. Non è solo una questione visiva, ma di mood. Un horror che sembra uscito da un vecchio disco demo del 1998 ha un sapore diverso da uno iperrealistico: meno dettagli ti lasciano più spazio per immaginare, e l’effetto “imperfetto” può risultare inquietante.

Sugimoto, però, resta della sua idea: un difetto è un difetto, e replicarlo è una scelta che lui non riesce ad apprezzare.

Esempi di revival tecnico

Non è la prima volta che un difetto tecnico diventa un elemento di stile. Pensiamo al pixel art flicker degli sprite NES, nato per limiti di memoria e gestione degli sprite in fila. O al CRT scanline effect, oggi ricreato in filtri video e shader.
In fotografia e video, fenomeni come la grana, il lens flare o le aberrazioni cromatiche sono stati rivalutati come “artistici”.

La differenza, forse, è che nel caso della PS1 il warping era meno “poetico” e più “fastidioso”. Non aggiungeva atmosfera: la rovinava, e chi lavorava sui giochi lo vedeva come una macchia da cancellare. Questo spiega perché per un programmatore dell’epoca sia difficile accettarne la rievocazione come segno di stile.

Moda passeggera o linguaggio definitivo?

Resta da capire se il texture warping sia destinato a restare come strumento estetico stabile, o se sia una moda legata al boom degli horror low-poly e delle jam a tema anni ’90.
Il pubblico giovane, che la PS1 non l’ha vissuta, lo percepisce come parte di un pacchetto visivo “esotico”. Per i veterani, invece, è un déjà-vu poco gradito.

Se guardiamo alla storia dei media, è facile che il warping resti in qualche forma: come opzione grafica, come filtro nei motori di gioco, o come gimmick per titoli particolari. Magari non sarà onnipresente, ma nemmeno sparirà del tutto.

La verità sta in mezzo

playstation 1 | cue | bin

Alla fine, il dibattito è meno tecnico di quanto sembri. Non si tratta solo di shader e mapping: è un discorso sul senso dell’arte videoludica. Un difetto può diventare una scelta consapevole? E se sì, quanto conta il contesto?
Se un horror del 2025 imita il look di un survival del 1996, non sta cercando di essere “tecnicamente peggiore”, ma di comunicare un certo feeling. Il problema è che per chi ha vissuto il 1996 come sviluppatore, quel feeling era tutto fuorché positivo.

E così il texture warping, un tempo nemico da combattere, oggi divide: c’è chi lo vede come tocco di classe e chi come insulto al progresso.

Meta description: Koji Sugimoto, veterano di Final Fantasy, critica la moda indie di ricreare i glitch grafici PS1. Difetto affascinante o ossessione inutile?

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