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Lettura: Ubisoft è morta? Giochi pigri, microtransazioni ovunque e l’incubo del live service
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Ubisoft è morta? Giochi pigri, microtransazioni ovunque e l’incubo del live service

Ubisoft affonda tra giochi pigri, microtransazioni e scelte discutibili. Il caso Assassin’s Creed Shadows e la fine di The Crew spiegano tutto.

8 ore fa
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C’era una volta un publisher francese che ridefiniva l’open world. Oggi è lo zimbello dell’industria. Ubisoft, sì, quella Ubisoft, è diventata sinonimo di “slop”, il termine che i gamer americani usano per indicare robaccia, roba pigra, giochi fatti con lo stampino solo per spillarti soldi.

Contenuti in questo articolo
La caduta di un impero (annunciata)Stop Killing Games? Ubisoft risponde: “Niente è per sempre”Microtransazioni single player: la normalità secondo UbisoftSlop ovunque: da Valhalla a OutlawsDall’oro al fango: l’effetto valanga sul tripla AIl tweet che dice tuttoI giochi non devono essere gratis. Devono essere belli.

E il bello? Non sembra voler cambiare rotta. Anzi.

La caduta di un impero (annunciata)

Negli ultimi due anni il titolo in borsa di Ubisoft è crollato di oltre il 90%. Colpa dei flop? Sì. Ma il problema è più profondo. I giocatori si ricordano. Si ricordano chi ha spinto sull’acceleratore delle microtransazioni nei giochi single player. Chi ha normalizzato l’“always online”. Chi ha venduto lo stesso open world 10 volte cambiando solo la skin. Spoiler: è Ubisoft.

E ora che i nodi vengono al pettine, la risposta del CEO Yves Guillemot è stata la proverbiale benzina sul fuoco.

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Stop Killing Games? Ubisoft risponde: “Niente è per sempre”

Tutto è esploso dopo lo spegnimento dei server di The Crew, il racing MMO pubblicato da Ubisoft nel 2014. Un gioco ancora giocato da una community attiva, che da un giorno all’altro è sparita. Game over, fine dei server, fine della licenza. Anche se l’avevi comprato.

Da lì è nato il movimento “Stop Killing Games”, che chiede una cosa semplice: se un gioco viene chiuso, lascia almeno una modalità offline, una patch, qualcosa per poterlo giocare ancora.

La risposta di Guillemot? Testuale: “Nulla è scritto nella pietra. I servizi, a un certo punto, possono essere interrotti. Nulla è eterno”.

Chiaro no? Per lui non sono giochi, sono servizi. E se decidi di “comprarli”, stai solo affittando l’accesso finché loro vogliono. Il disco che tieni in mano? È solo un suppellettile. L’esperienza? Un contratto a tempo determinato.

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Microtransazioni single player: la normalità secondo Ubisoft

ubisoft chiude il team di montpellier cosa è successo

Ma non finisce qui. Il delirio raggiunge il picco quando Ubisoft, in una recente comunicazione agli investitori, ha dichiarato che le microtransazioni “rendono i giochi più divertenti”. Hai letto bene. Più divertenti.

Esempio? In Assassin’s Creed Shadows puoi pagare per boostare l’esperienza, sbloccare oggetti, velocizzare crafting e progressione. Il tutto per “risparmiare tempo”.

Ma tempo da cosa, esattamente? Dai contenuti inutili che avete messo voi? Dai livelli pompati solo per allungare la minestra? È come se un ristorante ti servisse un piatto scotto e poi ti facesse pagare per avere quello cucinato bene.

La community non l’ha presa bene. “Se pagare rende il gioco migliore, allora avete costruito un gioco fatto per farti perdere tempo apposta”. E hanno ragione.

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Slop ovunque: da Valhalla a Outlaws

La strategia è ormai chiara: creare giochi enormi, pieni di contenuti “riempitivi”, e poi offrire scorciatoie a pagamento. Da Assassin’s Creed Odyssey a Valhalla, passando per Star Wars Outlaws, il pattern è sempre quello.

Outlaws, tra l’altro, è stato uno dei titoli più chiacchierati dell’anno. E non per i motivi giusti. Bug, stealth frustranti, missioni scollegate, level design incerto. Il CEO ha dato la colpa… alla scarsa forza dell’IP di Star Wars. Una delle saghe più amate di sempre.

Ok Yves, certo.

Il problema vero è che Outlaws è costruito come tanti altri giochi Ubisoft: design sterile, struttura rigida, open world senza anima, monetizzazione ovunque. E i giocatori lo sentono. Lo sentono eccome.

Dall’oro al fango: l’effetto valanga sul tripla A

gamer | ubisoft development

Una volta Ubisoft faceva scuola. Ora fa danno. La sua filosofia – mappe enormi, budget esagerati, riuso sistematico di asset – ha contribuito a distruggere la fascia media del mercato.

I giochi AA (quelli da 10 milioni di budget) sono scomparsi, schiacciati tra indie creativi e AAA disfunzionali. Il risultato? O spendi 300 milioni per fare un colosso live service, o scommetti tutto su una genialata indie. In mezzo, il nulla.

E la cosa peggiore è che questa bulimia produttiva non genera qualità. I cosiddetti “AAA slop” costano tantissimo, ma sembrano prototipi. Vuoti. Stanchi. Artificiali.

Il tweet che dice tutto

“L’unica cosa che non è opzionale è rendere il gioco frustrante per spingere alle microtransazioni.”

Questo il tweet che ha fatto esplodere la community. E sintetizza tutto. Ubisoft non crea esperienze. Crea recinti. Vuole trattenerti nel gioco, non per farti divertire, ma per farti spendere.

E se non paghi? Goditi ore di grinding. Mappe dilatate. Progressione bloccata. La sfida non è più sconfiggere un boss. È superare la noia progettata a tavolino.

I giochi non devono essere gratis. Devono essere belli.

Un’ultima riflessione arriva da chi i giochi belli li ha fatti davvero. Il PR di Baldur’s Gate 3 ha scritto:

“I giocatori non vogliono giochi gratis. Vogliono giochi belli. Che siano gratuiti o a pagamento, devono essere buoni.”

Ed è questo il punto. La crisi non nasce dal modello economico. Nasce dal cinismo. Dall’idea che il divertimento sia una variabile secondaria, e che l’unica costante sia il profitto.

Ubisoft è un caso da manuale. E la sua decadenza è uno specchio per un’industria intera.

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