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Il vero problema dei giochi occidentali? Non è l’Occidente: è l’America

5 ore fa Commenta! 6
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Ogni volta che esce un nuovo trailer di un tripla A occidentale — e parlo di roba tipo Suicide Squad, Dragon Age: Veilguard o l’intramontabile “Redfail” — i commenti si dividono in due categorie:

Contenuti in questo articolo
Il punto non è il “West”. È come si lavora dentro certe struttureIl problema è il modello USA: soldi, board e zero visioneIntanto, in Europa si continua a fare giochi… veriIl filtro culturale USA rovina pure i giochi degli altriE’ L’eccezione che conferma tutto? Red Dead Redemption 2Il modello americano è una macchina. Ma i giochi non sono contenutiTu che giochi li vuoi? Quelli “perfetti” da manuale marketing? O quelli con una voce?
  1. “Che schifo, ormai il gaming occidentale è morto.”
  2. “Per fortuna che in Giappone sanno ancora fare videogiochi veri.”

E sai una cosa? Capisco il disagio.
Ma ti dico la verità: l’Occidente non è il problema.
Il vero casino arriva da un posto ben preciso: gli Stati Uniti.

Il punto non è il “West”. È come si lavora dentro certe strutture

Negli ultimi anni, i giochi americani sembrano costruiti più per accontentare investitori e PR che per far divertire chi gioca.
Tutto dev’essere live service.
Tutto dev’essere grindabile, monetizzabile, “engaging”.
E il risultato? Un sacco di roba senz’anima.

Tipo Anthem. Te lo ricordi?
BioWare — quella di Mass Effect, mica un team qualunque — costretta a inseguire le mode EA. Risultato: disastro.
Oppure Redfall, creato da Arkane Austin: team di talento, ma portato su un progetto multiplayer che nessuno voleva davvero.
Dragon Age: Veilguard? Un tempo era un RPG profondo. Ora sembra un trailer di Netflix con più filtri Instagram che worldbuilding.

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Il problema è il modello USA: soldi, board e zero visione

the witcher 3

Non è che i developer americani siano incapaci. Anzi.
È che non comandano loro.
Comanda il reparto marketing, il team ESG, l’HR che approva i dialoghi, e l’algoritmo che dice “manca engagement dopo il minuto 12”.

E questo modello, da Silicon Valley, si è infilato ovunque. Anche in Europa.
CD Projekt Red, dopo The Witcher 3, si è espansa negli USA e — guarda caso — è inciampata su Cyberpunk 2077.
Team bravi. Ma schiacciati da hype, deadline e pitch da investor deck.

Intanto, in Europa si continua a fare giochi… veri

Non tutto è perduto.
Larian con Baldur’s Gate 3 ha tirato fuori un RPG gigantesco senza battle pass, senza season, senza microtransazioni.
Ninja Theory con Hellblade, Asobo con A Plague Tale, Remedy con Control…
Tutti studi che, quando restano indipendenti e con una visione, riescono a dire qualcosa.

E non è questione di budget. È questione di libertà.
Se non hai mille persone a dirti “questo personaggio deve rispettare il target demografico 14-34 con tonalità emotiva ESG-positive”, magari riesci pure a scrivere qualcosa di interessante.

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Il filtro culturale USA rovina pure i giochi degli altri

Sì, perché non è solo una questione di sviluppo. È comunicazione, marketing, percezione.
Oggi uno studio giapponese può decidere di cambiare trailer o cancellare un personaggio solo per evitare polemiche su Reddit.

Succede anche con giochi sviluppati in Asia ma con licenze americane, come Marvel Rivals.
Fatto da un team cinese, con stile da urlo. Ma appena è entrato nel radar USA… boom. Polemiche, scuse, revisioni.
Perché? Perché c’è questa sensazione che tutto debba passare dal filtro americano, altrimenti rischi la shitstorm globale.

E’ L’eccezione che conferma tutto? Red Dead Redemption 2

red dead redemption 2

Vuoi un gioco americano che sa parlare della propria cultura senza edulcorarla?
Guarda Red Dead Redemption 2.
Lì sì che Rockstar ha fatto centro.
Niente moraline, niente scenette Netflix style. Solo il vecchio West, con le sue contraddizioni: sangue, sudore, terra e bugie.
Un mondo vivo, con i suoi difetti. Ma autentico.

Ed è proprio questo il punto: non devi “ripulire” tutto per fare un gioco che funziona a livello globale.
Devi solo essere coerente con quello che sei. E lasciar parlare la tua voce.

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Il modello americano è una macchina. Ma i giochi non sono contenuti

Il gaming non è TikTok.
Non è un contenuto da ottimizzare per il click, per il like, per l’indice ESG.
È un media artistico. E se togli personalità, cultura, rischio… rimane un contenitore vuoto.

E guarda caso, i giochi più acclamati degli ultimi anni sono quelli che resistono a questa omologazione.
Europei, giapponesi, coreani, indie… tutti accomunati da una cosa: nessuno li ha fatti “per accontentare tutti”.
Li hanno fatti perché volevano dire qualcosa.

Tu che giochi li vuoi? Quelli “perfetti” da manuale marketing? O quelli con una voce?

Ecco la verità: non è il gaming occidentale che fa schifo.
È solo che quando tutto passa per gli USA — tra PR, HR, boardroom e influencer pre-approvati — diventa impossibile fare qualcosa di vero.

Ma c’è una via d’uscita.
Smettere di inseguire modelli che non funzionano più.
E tornare a fare videogiochi, non prodotti.

E tu? Sei d’accordo o pensi che stiamo esagerando?
Parliamone su Instagram.
O nei commenti, se hai voglia di dire la tua. Ma dillo da gamer, non da analista di mercato.

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