Che fine ha fatto il confronto tra culture nel gaming? Semplice: si è perso dentro una chat vocale tossica, impastato tra meme di Reddit e live su Twitch in caps lock.
Sempre più spesso, se dici la tua su un gioco con accento britannico o nickname nordico, finisci insultato. Sei europeo? Allora sei woke. Punto. Non importa che tu stia parlando di Dark Souls, Baldur’s Gate 3 o di quanto ti ha gasato Expedition 33 (sì, quello con la spada rosa e i combattimenti super reattivi).
Ma com’è iniziata questa guerra fredda digitale? E soprattutto, cosa c’è davvero dietro?
Quando dire “vengo da Londra” basta per farsi odiare
Lady Decade, youtuber britannica molto seguita, ha raccontato di essere diventata bersaglio di flame solo per il fatto di vivere in Europa.
Non per ciò che dice, non per i giochi che ama. Solo per la sua provenienza.
E non è un caso isolato. Dagli USA arriva un’ondata crescente di disprezzo verso tutto ciò che “suona europeo”. Che sia una meccanica narrativa diversa, un personaggio non binary o un accento francese, basta per far scattare la miccia.
La domanda è: perché?
Spoiler: non è davvero colpa dell’Europa
Quello che succede è che una parte del pubblico americano — stanca, frustrata, immersa da anni nella cultura del “tutto è una guerra ideologica” — cerca un nemico facile.
E l’Europa è perfetta per il ruolo. È lontana, complessa, poco conosciuta, e soprattutto: non è americana.
Così diventa il punching ball ideale. Un continente intero ridotto a meme:
- Il Regno Unito? Una distopia soft con tè e censura.
- La Francia? Snob e decadente.
- La Scandinavia? Un Pride lungo 365 giorni, dove i dev non possono fare neanche un personaggio maschile muscoloso senza scatenare polemiche.
Ma davvero è così?
Eurojank: da culto underground a insulto globale
Hai mai sentito dire “questo gioco è eurojank”? Se segui Gamecast, probabilmente sì.
Un tempo era quasi un complimento: giochi ambiziosi, magari rozzi, ma carichi di personalità. Gothic, S.T.A.L.K.E.R., persino Elex.
Ora invece lo usano per dire: “non è americano, quindi è brutto”. Fine della discussione.
Per capire cosa c’è dietro, basta guardare i commenti sotto un trailer qualunque di un RPG europeo. “Too political”, “woke trash”, “go broke”. Tutte frasi che sembrano partorite da un algoritmo del malcontento.
Ubisoft, CD Projekt e le colpe immaginarie
Facciamo chiarezza.
- CD Projekt RED, studio polacco, introduce il congedo mestruale per le sue dipendenti? “Segno della decadenza occidentale”.
- Ubisoft produce l’ennesimo open world fotocopia? “Colpa dell’Europa woke”.
Sì, certo.
Peccato che la Polonia sia tra i paesi più conservatori d’Europa. E che Ubisoft abbia adottato il modello di business più americano possibile: trend, monetizzazione aggressiva, live service e NFT.
Vuoi davvero criticare Ubisoft? Fallo pure. Ma smettila di dire che lo fai “perché è europea”.
Gli influencer anti-woke: guerrieri del click
Dietro questa retorica c’è un’intera economia dell’indignazione.
YouTuber, streamer e content creator hanno capito che dire “l’Europa rovina i videogiochi” fa views. E lo ripetono all’infinito.
Il frame è semplice: “Noi siamo i sani, i ribelli, gli ultimi difensori del vero gaming. E dall’altra parte c’è il male: i dev woke, i giochi inclusivi, le narrazioni diverse”.
E se c’è da inventarsi un po’ di Europa finta per sostenere tutto questo, poco importa.
Anche noi europei ci mettiamo del nostro
Onestamente? Neanche gli utenti europei sono sempre innocenti.
Su X, Reddit e nei forum capita spesso di vedere post snob, frecciatine sull’ossessione americana per le armi, o meme sul sistema sanitario USA.
A volte fanno ridere. Altre volte, fanno solo danni.
Perché alimentano il rancore. E trasformano il dibattito in una gara a chi insulta meglio.
Risultato? Il focus sui giochi svanisce.
Il gaming sta diventando secondario
Quanti thread su un nuovo titolo europeo finiscono per diventare discussioni sulla libertà di espressione, la sanità pubblica o le armi?
Troppi.
E così invece di parlare del combat system di Expedition 33, delle atmosfere di Clair Obscur o della profondità di Baldur’s Gate 3, stiamo litigando sul concetto americano di libertà contro quello europeo.
Spoiler: non sono uguali. E va bene così.
Siamo davvero in guerra?
No. Quello che succede è che una parte dei gamer USA ha paura del cambiamento.
Il loro mondo videoludico – fatto di certezze, power fantasy e storie lineari – sta cambiando.
E invece di affrontare il problema in casa (spoiler: gran parte dei problemi dell’industria vengono proprio dagli Stati Uniti), se la prendono con l’Europa.
Come se la colpa dei battle pass, dei giochi rotti al day one e della serializzazione tossica fosse di… Copenaghen.
Il vero boss finale? L’algoritmo
Alla fine il nemico non è l’Europa, né l’America. È la distorsione.
È l’idea che il mondo sia diviso tra buoni e cattivi, e che tu debba scegliere da che parte stare.
Quando invece dovremmo parlare di gameplay, di narrativa, di arte. E magari anche divertirci ogni tanto.
Questa “guerra culturale” non ha mai riguardato i videogiochi. Ma ora li sta contaminando. Ed è un game over che nessuno ha chiesto.
Ti sei mai sentito fuori posto in una community online solo per il tuo accento o le tue idee?
Parliamone insieme su Instagram. Perché qui contano i giochi, non il passaporto.