Nel 2025, mentre il mondo AAA sfornava l’ennesimo FPS co-op senza anima e qualche sequel stiracchiato in salsa open world, un piccolo studio polacco ha alzato la testa, fatto silenzio… e pubblicato un gioco che ti fa a pezzi. Non con boss fight o difficoltà artificiali, ma con una domanda semplice e brutale: e se avessi vissuto una vita diversa?
The Alters non è solo l’ennesimo indie interessante che trovi a metà prezzo su Steam. È una dichiarazione. Un gioco che ti mette davanti allo specchio e ti obbliga a parlare con versioni alternative di te stesso. Versioni migliori, peggiori, diverse. Ed è anche, paradossalmente, il titolo che ha fatto imbestialire parte della stampa tradizionale, colpevole, pare di aver usato l’AI per tradurre qualche sottotitolo.
Sì, c’è di mezzo anche quello. Ma andiamo con ordine.
11 bit studios, quelli che ancora credono nel single player

Partiamo da chi l’ha fatto: 11 bit studios, team polacco già noto per This War of Mine e Frostpunk. Se hai giocato anche solo uno di questi due, sai già che non stiamo parlando di sviluppatori qualsiasi. Qui non si fanno giochi per “piacere al pubblico”. Si fanno giochi per dire qualcosa.
Con The Alters il messaggio è forte, chiarissimo e disturbante. Sei Jan Dolski, un minatore spaziale naufragato su un pianeta radioattivo. L’aria uccide. Le radiazioni avanzano. Le risorse scarseggiano. L’unico modo per sopravvivere è clonarti, usando una macchina chiamata Tree of Life. Ma attenzione: non si tratta di cloni generici. Ogni “Alter” è una versione alternativa di te stesso. Un Jan che ha fatto scelte diverse. Uno che ha finito l’università. Uno che ha studiato medicina. Uno che non ha mollato la persona che amava.
E non sono solo “abilità in più” da assegnare. Sono persone. Con emozioni, memorie, rancori, ideali. Ti aiutano, sì, ma possono anche giudicarti. Ignorarti. Ribellarsi. E tu sei lì, in mezzo a tutto questo, cercando di restare vivo. E, magari, anche un po’ sano di mente.
Un survival che parla di te
A livello di gameplay, The Alters è un survival in tempo reale con elementi gestionali e scelte narrative profonde. Ma non è mai un gioco di “barre da riempire”. Non ci sono fame e sete da microgestire, né sistemi craft da grindare all’infinito. Qui il vero nemico è il tempo. Il tempo che scorre. Le macchine che si guastano. I rapporti tra gli Alters che si deteriorano.
Ogni tua scelta consuma ore. Ogni tuo errore si paga. Puoi solo fare una cosa alla volta, e spesso non basta. A volte devi mandare un Alter a riparare un modulo mentre un altro costruisce una cella solare e un terzo prepara il pasto per il giorno dopo. Ma se due di loro non vanno d’accordo, se uno si sente sottovalutato, se un altro mette in dubbio la tua leadership… ti ritrovi con l’intero sistema che crolla.
E lì non c’è game over. C’è solo colpa. Quella vera.
Uno, nessuno, centomila
Il vero colpo di genio di The Alters è la caratterizzazione dei cloni. Non sono mai macchiette. Non sono “il medico”, “l’ingegnere”, “il razionale”. Sono esseri umani con una storia, una visione del mondo e un’idea precisa su chi sei tu. Tu che li hai creati. Tu che hai scelto di non essere come loro.
Ed è qui che il gioco diventa crudele. Perché a un certo punto, uno di questi Alters ti guarda e ti dice: “Io avrei fatto meglio di te.” E tu lo sai. Perché è vero.
Il lavoro vocale di Alex Jordan, unico doppiatore per tutti i Jan, è mostruoso. Rende ogni Alter distinguibile, credibile, vivo. E lo fa senza effetti speciali, senza celebrity, senza marketing attorno. Solo con la voce. Solo con l’intenzione. Come si faceva una volta.
L’AI usata per il 0,3% dei testi. Ma a chi importa davvero?
Ora parliamo del “caso”. Poco prima del lancio, qualcuno ha scoperto che una stringa nei sottotitoli portoghesi sembrava un prompt di ChatGPT. E in effetti lo era. 11 bit studios ha ammesso di aver usato strumenti AI per traduzioni secondarie e qualche testo di background, per un totale stimato dello 0,3% dei contenuti scritti. Hanno chiesto scusa, patchato, ritradotto tutto a mano. Fine.
O almeno, sarebbe dovuta finire lì.
Invece, parte della stampa videoludica (soprattutto americana) ha trattato la questione come se fosse il caso Epstein. Titoli urlati, editoriali indignati, accuse di “tradimento dell’arte”. Tutto per un paio di righe lasciate lì per errore.
Nel frattempo, su Steam il gioco volava: 89% di recensioni positive, oltre 280.000 copie vendute, fan in visibilio. Perché? Perché The Alters è un grande gioco. Punto.
Il pubblico lo ha capito al volo. La stampa, o parte di essa, no.
Niente cosmetici, niente pass, niente roadmap
Un altro motivo per cui The Alters sembra quasi alieno rispetto al panorama attuale è il suo rifiuto assoluto della monetizzazione forzata. Il gioco è completo. Senza DLC obbligatori. Senza contenuti tagliati per venderli dopo. Senza skin da 20 euro.
È un prodotto finito. Coerente. Costruito con una visione. E chiaro fin dal primo minuto su cosa vuole essere.
Quando ti muovi nella tua base mobile un cubo blindato che sembra uscito da un incubo brutalista senti la tensione. Ogni dettaglio visivo serve a raccontare: la solitudine, la pressione, il senso di inadeguatezza. Non c’è nulla di superfluo. Nessuna feature messa lì per fare trailer.
Persino lo stile grafico (pittorico, alieno, freddo) riflette perfettamente il tono del gioco. E a livello tecnico gira benissimo anche su sistemi medi. L’Unreal Engine 5 qui non è usato per spararti effetti particellari in faccia, ma per raccontare un mondo coerente e doloroso.
L’Europa alza la voce
The Alters non è un caso isolato. Viene dopo Expedition 33, Stellar Blade, Black Myth: Wukong… Tutti titoli che stanno dimostrando una cosa semplice: l’industria non ha bisogno di budget miliardari per fare arte. Ha bisogno di libertà.
E in Europa, questa libertà esiste. I team sono piccoli, internazionali, spesso supportati da fondi pubblici e senza l’ossessione per i sequel, gli spin-off e le IP da spremere.
11 bit studios è il perfetto esempio: si prendono i loro tempi, non rincorrono le mode, e parlano di cose scomode. This War of Mine parlava della guerra civile vista da dentro. Frostpunk ti chiedeva cosa sei disposto a sacrificare per la sopravvivenza. The Alters ti chiede: chi saresti potuto essere?
Una rivoluzione silenziosa
In un mondo dove tanti giochi sembrano fatti per vendere contenuti prima ancora che per essere giocati, The Alters è un’anomalia. Un gioco che non ha bisogno di gridare per farsi notare. Che non ti spiega tutto ma ti fa sentire ogni cosa. Che non cerca engagement, ma connessione.
Ed è proprio questo che fa paura.
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