Se ti dicessi che Doom: The Dark Ages è Doom, ma senza doppio salto e senza dash, probabilmente penseresti “meh, passaggio a vuoto”. E invece no. Perché il team di id Software ha fatto un mezzo miracolo: ha tolto roba che amavi, l’ha rimpiazzata con qualcos’altro, e ti ha comunque dato una scarica di adrenalina che ti lascia col sorriso idiota stampato in faccia. Uno di quelli che fai solo quando lanci uno scudo in mezzo a 20 demoni e lo vedi tornare indietro con il sangue ancora sopra.
Doom cambia ritmo, ma resta fedele a sé stesso
C’è una cosa che Doom ha sempre fatto bene: reinventarsi senza perdere identità. Dal classico del ‘93 al delirio metallico di Doom Eternal, ogni episodio ha cambiato il ritmo senza snaturare il cuore: sei da solo, contro l’inferno, armato fino ai denti. E fai a pezzi tutto.
Doom: The Dark Ages non fa eccezione. Solo che stavolta, invece di dartela a gambe con doppi salti e dash, ti mette addosso un’armatura da cavaliere pesante e ti manda dritto nella mischia. Addio agilità da ninja, benvenuto stile brutale e diretto. E no, non è un downgrade. È una scelta.
Il nuovo Doom Slayer: stesso odio, nuovo contesto

Narrativamente siamo in un prequel ambientato prima di Doom 2016. Il protagonista è sempre lui, il Doom Slayer, ma in versione più “antica”. La trama non gira attorno alla sua psicologia (spoiler: non ce l’ha), ma espande l’universo, aggiungendo lore, personaggi e persino fazioni umane.
C’è un pizzico di high fantasy, con castelli medievali sci-fi, draghi, mech e un’infarinatura cosmica à la Lovecraft. A tratti sembra quasi un mix tra Doom, Warhammer e Dark Souls. Ma con meno filosofia e più piombo.
E la cosa sorprendente? Funziona. Per la prima volta hai la sensazione che il Doomguy non sia solo. C’è un conflitto più ampio, compagni umani che combattono, nemici che non sono solo carne da macello. È comunque Doom, ma con un contesto un po’ più ricco attorno.
Scudo alla mano, è tempo di menare
La vera rivoluzione del gameplay? Lo scudo. Parliamoci chiaro: è l’arma più Doom che potessero inventarsi. Serve a tutto:
- Bloccare colpi
- Riflettere attacchi
- Caricare contro i nemici
- Lanciarsi in avanti
- Essere lanciato tipo Captain America, con l’aggravante che esplode in faccia a chi lo prende
La meccanica di parry è il cuore del combat system. Blocchi il colpo rosso, riflessi quello verde. Parata perfetta, nemico stordito. Parata sbagliata? Ciao checkpoint. E non è una roba da super pro: la finestra è generosa, regolabile nei menu, pensata per far sentire potente anche chi ha riflessi normali.
Il colpo in corsa poi (shield bash) è il nuovo grappling hook. Ti butti nella mischia con un’accelerazione folle, sfondi le linee nemiche, e in un attimo sei al centro del caos. Ti senti davvero il Doom Slayer, non solo un tizio che spara bene.
Addio motosega, benvenuto corpo a corpo
Una delle scelte più coraggiose del gioco è l’eliminazione della motosega. Lo so, è quasi blasfemo. Ma viene sostituita da un sistema corpo a corpo che ti spinge a stare sempre vicino ai nemici.
Colpendo in melee recuperi munizioni. E sai una cosa? Le trovi molto più spesso rispetto al carburante della vecchia motosega. Questo vuol dire meno momenti frustranti, più libertà d’azione. Sei incentivato a restare nella mischia, non a scappare per cercare ricariche.
E ti dirò di più: non mi è mancata affatto. Il nuovo sistema è fluido, gratificante e tiene altissimo il ritmo.
Armi da sogno, feeling perfetto
Se c’è una cosa che Doom non ha mai sbagliato, è il feeling delle armi. Anche qui, tutto perfetto:
- Il super shotgun è puro amore. Ogni colpo è un’esplosione di godimento.
- Il fucile d’assalto ora spara proiettili a punta metallica, con effetto railgun
- Il lanciarazzi ha un fratello gemello: un granata launcher con traiettoria ad arco
- C’è una railgun alternativa, la Steel Shot, che buca tutto
Ogni arma ha un “sister weapon” con cui condivide le munizioni e può essere scambiata al volo. È una scelta geniale, perché ti lascia libertà senza costringerti a gestire inventari o micromanagement.
E il top? Ogni arma resta utile fino alla fine. Puoi specializzarti, certo, ma nessuna va buttata. Bastano un paio di upgrade giusti e anche il fucile base torna a spaccare.
Nemici, arene e varietà: non ti annoi mai
Il bestiario è un mix di vecchie glorie (Imps, Hell Knights, Cyber Demon) e new entry, come demoni cosmici e versioni rivisitate. Tipo il Pinky, che adesso è cavalcato da un arciere infernale. Oppure la Vagory, mini boss che torna da Doom 3.
E a differenza di Doom Eternal, non sei obbligato a usare una specifica arma per ogni nemico. Ci sono ancora debolezze, ma hai più margine di azione. Meno puzzle di armi, più istinto. E va benissimo così.
Il level design? Gigantesco. Ci sono livelli enormi, pieni di segreti, valute da upgrade, skin, collectible. Ogni zona è un’arena, ma anche uno spazio da esplorare. E ogni livello porta qualcosa di nuovo: una nuova arma, un nuovo potere, una nuova sfida.
Draghi, mech e metal: il contorno è puro stile
Se ti dico che puoi pilotare un drago, cosa rispondi? Esatto: finalmente. E pure combattere con un mech gigante a pugni contro i demoni. Le sezioni sono semplici, quasi mini giochi, ma servono a spezzare il ritmo e aggiungere quel tocco epico che non guasta mai.
Il tutto, ovviamente, accompagnato da una colonna sonora metal devastante. Chi ha amato i suoni di Doom Eternal si sentirà a casa: ogni livello ha i suoi riff, e ci sono momenti in cui ti viene voglia di alzare il volume, abbassare gli effetti e goderti solo la musica. Giuro che l’ho fatto.
L’anima è la stessa. Ma la forma è nuova
Diciamolo chiaro: Doom: The Dark Ages non è solo un’espansione mascherata o un Eternal 2.0. È un nuovo tipo di Doom. Meno basato sulla velocità, più sulle scelte. Meno arcade, più “peso”. Ma sempre dannatamente divertente.
E anche se è un filo più accessibile rispetto a Eternal (soprattutto nelle prime ore), non vuol dire che ti prenda per mano. Gli scontri si fanno duri, le arene diventano veri incubi, e i boss non scherzano. Ma il gioco ti dà sempre gli strumenti per farcela. E quando succede, la soddisfazione è totale.
Doom: The Dark Ages è un colpo di scudo in pieno petto. E ti fa anche piacere
Tra ambientazioni pazzesche, gameplay profondo e scelte coraggiose, The Dark Ages centra il bersaglio. Non sarà perfetto, ma è una delle esperienze FPS più fresche e solide degli ultimi anni.
Il mix tra scudo, armi, upgrade e ritmo ti cattura e non ti molla più. Anche quando finisci la campagna, ti viene voglia di rigiocare, provare build diverse, scoprire i segreti nascosti in ogni angolo.
Se ami Doom, questo è un capitolo che non puoi saltare. Se sei nuovo, potrebbe essere quello che ti fa innamorare.
Tu l’hai già provato? Hai preferito l’approccio più tecnico di Eternal o l’energia brutale di questo nuovo Slayer corazzato? Parliamone nei commenti. E se ti piace il nostro modo di raccontare i giochi, seguici anche su Instagram: @gamecast_it