Hai comprato un gioco. Magari su disco. Magari anche a prezzo pieno. Eppure un giorno accendi la console e… puff. Il gioco non parte più. Nessun errore, nessuna patch. Solo un messaggio: “Accesso revocato”. Benvenuto nel futuro distopico del gaming moderno. E no, non è una puntata di Black Mirror.
Il caso The Crew: pagato, posseduto, cancellato
Partiamo da The Crew, gioco di corse online lanciato da Ubisoft nel 2014. Nel dicembre 2023 è stato rimosso dagli store digitali. Fin qui, nulla di nuovo. Ma il vero shock arriva il 31 marzo 2024, quando Ubisoft spegne i server e tutti, anche chi possiede il disco fisico, scopre di non poter più giocare. Nessuna modalità offline, nessuna eccezione.

Solo che non è proprio vero. Modder e dataminer hanno scoperto un menu nascosto con l’opzione gioca offline. Bastava attivarlo. Ubisoft non l’ha fatto. E quando le è stata intentata una class action in California, la risposta è stata ancora più agghiacciante: “Non avete mai posseduto il gioco. Avete comprato solo una licenza revocabile”. Ecco il futuro che vogliono: paghi tutto, ma non possiedi nulla.
Stop Killing Games: la petizione che ha fatto tremare l’industria
A fronte di questi abusi, Ross Scott (sì, proprio quello di Freeman’s Mind) ha lanciato l’iniziativa europea Stop Killing Games, per garantire ai consumatori il diritto di giocare ai titoli acquistati anche dopo lo spegnimento dei server.
La proposta è semplice:
- I giochi devono restare accessibili in qualche forma anche dopo la fine del supporto ufficiale
- I publisher dovrebbero abilitare versioni offline, connessioni peer-to-peer o rilasciare codice server
- Queste regole valgono solo alla fine del ciclo vitale del gioco, non toccano lo sviluppo o il modello economico
Risultato? Oltre 1 milione di firme, obiettivo superato in 23 Paesi su 27. Un trionfo. Ma la festa è durata poco.
I veri nemici: non gli streamer, ma le lobby
Appena la petizione ha sfondato il muro del milione, ecco che arriva Video Games Europe, il gruppo di lobby che rappresenta EA, Ubisoft, Microsoft, Nintendo Europe e decine di altri colossi.
Con un comunicato fulmineo (già pronto nei cassetti), VGE avverte: “Queste regole limiterebbero la libertà degli sviluppatori e renderebbero i giochi troppo costosi da produrre”. Tradotto: non vogliamo che cambino le leggi. E sì, continuerete a pagare per cose che possiamo togliervi quando ci pare.
Ma la cosa peggiore? Nessuno ha votato questi tizi. La Commissione Europea, che ha il potere esclusivo di proporre nuove leggi, non è eletta. I suoi membri sono nominati. E Bruxelles è la seconda capitale più influenzata dalle lobby al mondo, subito dietro Washington.
Pirate Software: bersaglio facile, ma non il boss finale
Nel frattempo, i social si sono scatenati contro Jason Hall, alias Pirate Software, ex Blizzard ora streamer, colpevole di aver criticato pubblicamente la petizione con argomenti facilmente smontabili. Diceva che avrebbe rovinato i live service, che i dev avrebbero dovuto tenere accesi i server per sempre. Peccato che il testo dell’iniziativa non lo dica da nessuna parte.
L’effetto? Un’ondata di commenti tossici, flame, insulti e… boom: effetto Striand. La visibilità dell’iniziativa è esplosa. Ironico, no? Il tentativo di affossarla l’ha resa virale.
Ma il rischio è che il dibattito si sposti su Pirate, meme, influencer e Twitch drama, invece che sulla vera minaccia: un’industria che vuole il controllo totale su ciò che compri.
È davvero solo una questione di videogiochi?
No. È una questione di proprietà digitale. Di trasparenza. Di chi scrive le regole del gioco, letteralmente.
Hai davvero comprato quel titolo, o stai solo affittando una licenza a tempo determinato? Cosa succede quando chi l’ha pubblicato decide che non gli conviene più tenerlo online?
Stop Killing Games chiede solo una cosa: se paghi per un gioco, devi poterlo giocare. Anche quando le aziende voltano pagina. Come quando compri un libro e lo leggi anche dopo che l’editore chiude. O guidi l’auto anche se il concessionario fallisce.
La buona notizia? Cambiare si può
Nonostante l’offensiva delle lobby, l’iniziativa ha ottenuto uno status legale formale. E l’Unione Europea ha già dimostrato in passato che può resistere alle pressioni delle multinazionali:
- GDPR ha costretto le Big Tech a rispettare la privacy
- Le tariffe di roaming sono state abolite
- Il Digital Services Act ha obbligato i colossi a rendere trasparenti gli algoritmi
- L’AI Act è la prima legge al mondo sull’uso etico dell’intelligenza artificiale
Se abbastanza persone spingono nella stessa direzione, le cose possono cambiare. Ma solo se non ci lasciamo distrarre.
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