Nel 1999 c’erano due tipi di videogiocatori: quelli che inseguivano il futuro, e quelli che ci si schiantavano contro. Outcast era quel futuro. Solo che nessuno, all’epoca, sapeva cosa farci.
Tu sei Cutter Slade, un ex Navy SEAL catapultato su un pianeta alieno per salvare due mondi: il nostro e quello dei Talan, razza semi-pacifica in mezzo a un conflitto spirituale e politico che ricorda una guerra tribale con un retrogusto da Dune.
Il gioco? Un open world prima che quella parola diventasse buzzword. Dialoghi doppiati, missioni non lineari, NPC reattivi che ricordavano le tue azioni, e un’intera cultura aliena costruita da zero — lingua inclusa. Il tutto con un motore voxel che bypassava le GPU dell’epoca e faceva girare tutto sulla CPU. Una mossa geniale e suicida insieme.
Per capirci: mentre gli altri giochi sembravano costruiti con Lego, Outcast ti lasciava esplorare valli, città e deserti pieni di atmosfera e libertà, a cavallo di creature aliene. Ma serviva un PC con le palle. E nel 1999, quasi nessuno ce l’aveva.
Il gioco che nessuno comprò (ma che tutti dovrebbero giocare)
Nonostante le ambizioni, Outcast fu un disastro commerciale. Il tempismo era pessimo: uscì in un periodo dominato da Half-Life, System Shock 2, Unreal Tournament. Aveva bisogno di un hardware da professionisti e non girava su schede grafiche moderne. Ironico, vero?
Eppure, chi l’ha giocato se lo ricorda ancora. Perché era diverso, e lo sapeva. Aveva uno stile narrativo maturo, un mondo vivo, una soundtrack orchestrale registrata con l’Orchestra Sinfonica di Mosca. Insomma, un’opera d’autore mascherata da gioco d’avventura.
Un sequel cancellato e un sogno chiamato “Legacy of the Yods”
Il seguito doveva chiamarsi Outcast II: The Lost Paradise, e sarebbe uscito su PlayStation 2, PC e GameCube. Ma Appeal, lo studio belga dietro il gioco, fallì prima di finirlo. Fine dei giochi? Non proprio.
Dal 2003 un gruppo di fan irriducibili gli Eternal Outcasts iniziò a lavorare a un sequel non ufficiale: prima lo chiamarono Open Outcast, poi Legacy of the Yods. Passarono da un motore all’altro, dal Gothic engine al CryEngine 3, pubblicarono perfino tech demo giocabili via Crysis Wars. Ma nel 2017, per evitare grane legali, dovettero rinunciare al nome “Outcast” e il progetto si spense.
Ma qualcosa si era riacceso.
La resurrezione: Outcast 1.1, Second Contact e… finalmente un sequel
Nel 2014 il gioco originale venne riesumato come Outcast 1.1, versione aggiornata del codice originale: supporto al 1080p, stabilità migliorata, patch in corso d’opera. Ma il vero ritorno avvenne nel 2017 con Outcast: Second Contact, remake completo con grafica moderna ma gameplay old school. Un tributo fedele, ma un po’ rigido.
La vera novità, però, è arrivata nel 2024: Outcast: A New Beginning, sequel ufficiale sviluppato da Appeal e pubblicato da THQ Nordic. Un nuovo Cutter, un nuovo motore (Unreal Engine 4), e Adelpha ricostruita da cima a fondo. Il combat system è stato rinnovato: ora puoi personalizzare l’arma con oltre 30 moduli, mischiare poteri Talan e jetpack, ed esplorare il mondo come avresti sempre voluto nel ’99.
Non è perfetto qualche bug, missioni ripetitive ma è il sequel che i fan aspettavano da 25 anni.
Perché Outcast conta ancora
Outcast è stato uno di quei giochi che arrivano troppo presto, pagano il prezzo dell’innovazione e poi spariscono. Ma non muoiono. Tornano. Cambiano. Evolvono.
E oggi, che ci ritroviamo circondati da mondi aperti fotorealistici ma senz’anima, ripensare a Cutter Slade e Adelpha è come riscoprire un classico sci-fi dimenticato sugli scaffali di una videoteca degli anni ’90.
Vale la pena rigiocarlo? Assolutamente sì. Magari con un po’ di pazienza, e con lo sguardo curioso di chi vuole capire dove siamo adesso guardando da dove siamo partiti.
Hai mai messo piede su Adelpha? Raccontaci la tua prima volta con Outcast, o se stai pensando di recuperarlo oggi. E se vuoi altri viaggi nei mondi dimenticati del gaming anni ’90, seguici su Instagram: lì è dove si radunano gli Ulukai di nuova generazione.